Biografia

Giuseppe Penone è nato nel 1947 a Garessio, in provincia di Cuneo, ha lo studio a Torino e soggiorna periodicamente a Parigi.

Espone per la prima volta nella città di Torino, al Deposito d’Arte Presente, e successivamente nella galleria di Gian Enzo Sperone, dove nel 1969 tiene la sua prima mostra personale.

Dal suo lavoro emerge la comune natura dell’esistente. Penone la svela aderendo agli aspetti concreti – visivi, tattili e olfattivi – della materia che indaga sino a svelarne i fondamenti magici e fantastici.

Già nei suoi lavori d’esordio, materiali diversi – piombo, ferro, cera, pece, legno, gesso e iuta – sottoposti a sollecitazioni esprimono ciascuno le proprie qualità fisiche.

Alpi Marittime, 1968

© Archivio Penone

Nel dicembre 1968 realizza un gruppo di opere che intitola Alpi Marittime, dal nome del bosco nel quale agisce sommando la sua azione a quella della natura, con l’idea, cardine del suo lavoro, di asserire il principio d’identità tra uomo e natura. Alpi Marittime, nella forma di una sorta di diario correlato da disegni, fotografie e brevi annotazioni, è pubblicato nel libro Arte Povera di Germano Celant, del 1969.
Da quella data Penone è tra i protagonisti della teoria critica elaborata da Celant a partire dal 1967 e partecipa al confronto con le coeve avanguardie internazionali condotto attraverso una serie di rassegne, tra le altre "Konzeption-Conception" allo Schloss Morsbroich di Leverkusen nel 1969, "Conceptual Art Arte Povera Land Art" alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino e "Information" al Museum of Modern Art di New York nel 1970.

Albero di 12 metri, 1970

© Archivio Penone

L’albero, organismo vivo, con il suo aspetto così prossimo a quello della figura umana, è un elemento centrale nel lavoro di Penone, "idea prima e più semplice di vitalità, di cultura, di scultura".

Al 1969 risalgono i suoi primi Alberi, ciascuno dei quali è ottenuto scorticando una trave e seguendo un anello di crescita della pianta per riportarne parzialmente alla luce il tronco e i rami, così come erano in un’epoca precedente a quando è stata recisa.

Nel corso di "Aktionsraum 1" a Monaco nel 1970, Penone scava in pubblico un Albero di dodici metri. Quest’opera, acquistata lo stesso anno da Pontus Hultén per il Moderna Museet di Stoccolma, è il primo lavoro di Penone che entra a far parte di una collezione pubblica. Un nuovo Albero di dodici metri del 1980, portato alla luce in tutta la sua altezza a eccezione della cima della pianta che, rimasta trave, funge da base della scultura, è esposto al Guggenheim di New York nel 1982 e nuovamente al Musée des Beaux-Arts di Nantes nel 1986. Nell’imponente scultura Cedro di Versailles del 2002–2003, invece, il profilo del giovane albero è scavato nel tronco di un antico cedro proveniente dalla foresta di Versailles.

Albero di 12 metri, 1980

Soffio, 1978

© Carmelo Guadagno

Degli Alberi Penone realizza negli anni un cospicuo numero di varianti che trovano la loro logica nell’idea di Ripetere il bosco. Con questo titolo, in alcune mostre, ha accostato Alberi diversi, dallo Stedelijk Museum di Amsterdam nel 1980, al Castello di Rivoli (Torino) nel 1991, o più recentemente, nel 2008, all’Art Gallery of Ontario (AGO) di Toronto.

Il limite, ciò che definisce la singolarità di tutte le cose e d’ogni essere vivente, è un concetto centrale nel lavoro di Penone.

L’artista lo considera nell’accezione di confine, contemplando, di conseguenza, il reciproco contatto. Lo si deduce dai processi adottati nella definizione delle sue opere, basati sulla relazione di entità diverse, talvolta opposte, che accostandosi si modificano e si condizionano.

Nella prima mostra personale da Gian Enzo Sperone a Torino nel 1969, espone Indicazione del pavimento, Indicazione del muro, Indicazione dell’aria (Barra d’aria). Quest’ultima è un lungo tubo di vetro a sezione quadrata fissato alla finestra che conduce all’interno l’aria e i rumori dell’esterno, mettendo in relazione ciò che abitualmente viene considerato separato.

Galleria Sperone, Torino 1969

© Paolo Mussat Sartor

In Rovesciare i propri occhi, del 1970, Penone indossa lenti a contatto specchianti che interrompono il canale d’informazione visiva tra l’individuo e ciò che lo circonda, affidando alla fotografia la possibilità di vedere nel futuro le immagini che il suo occhio avrebbe dovuto percepire.

Rovesciare i propri occhi, 1970

© Genevieve Hanson / Archivio Penone

A partire da quest’opera capitale, Penone privilegia il senso del tatto. Lavora a un ciclo di opere intitolato Svolgere la propria pelle e, riflettendo sulla quantità di segni volontari e involontari che i corpi disseminano, estende le proprie impronte su elementi diversi: i neon di una galleria o i vetri di una finestra della Kunsthalle Fridericianum di Kassel a Documenta 5 nel 1972. Con i cicli Pressione (dal 1974) e Palpebre (dal 1977) riflette sull’immagine automatica e inconscia dell’impronta, trasformandola in conscia e volontaria attraverso l’azione insostituibile del disegno, che la ingrandisce e la ripercorre in tutte le sue parti. Il processo impiegato consiste nel fotografare un’impronta, nel proiettarla ingrandita su diversi supporti e nel rilevarla con il carboncino o la grafite. Talvolta Penone ribalta le categorie di esterno e di interno "svolgendo" la propria pelle sulle pareti di uno spazio: la pelle – elemento esterno per definizione – si dispiega sulle pareti che contengono e avvolgono lo spettatore nelle mostre al Kunstmuseum di Lucerna nel 1977, al Museum of Modern Art di New York nel 1982, alla National Gallery of Canada a Ottawa nel 1983 o al Musée d’Art Moderne de la Ville a Parigi nel 1984.

Pressione, 1977

© Paolo Mussat Sartor

Il contatto, memorizzato nell’impronta, diventa nei lavori di Penone matrice dell’opera. Attraverso questo processo l’autore rinnova la pratica della scultura interpretando in maniera inedita tecniche tradizionali come quelle del calco o della fusione a cera persa.

A partire dal 1972 realizza una serie di lavori con il calco di gesso di una parte del corpo sulla quale proietta la diapositiva del modello fotografato dopo l’esecuzione del calco. In queste opere, nelle quali i peli strappati dal gesso si sommano a quelli rimasti sulla pelle e visibili nella diapositiva, associa l’idea di confine a qualcosa di incontrollabile, prendendo in considerazione i capelli che sono la maggior lunghezza ed estensione del nostro corpo e che acquistano un dinamismo autonomo affidandosi al vento, all’acqua, al barbiere. La prima delle opere di questa serie, Torace, del 1972, è esposta nella mostra personale alla Galerie Paul Maenz di Colonia nel 1973.

Torace, 1972

© Archivio Penone

La rilevazione del contatto come processo attivo della memoria configura invece il lavoro Vaso, del 1975, costituito da un vaso di terracotta proveniente da scavi archeologici e dall’ingrandimento, in quattro sculture di bronzo, delle impronte che su di esso ha lasciato il vasaio. Per la prima volta Penone lavora il bronzo, impiegato in questo caso "per mitizzare", ha dichiarato l’artista, "o creare una retorica sulla banalità dell’impronta lasciata dall’artefice". Realizzate a distanza di anni, nel 2005, le grandi sculture di bronzo e acciaio intitolate Geometria nelle mani derivano ugualmente dall’ingrandimento di un’impronta lasciata, nel loro caso, dalle mani dell’artista che sovente verifica con il proprio corpo i termini del contatto.

Nella personale al Museum Folkwang di Essen, nel 1978, espone la prima delle opere in terracotta intitolate Soffio, nelle quali riproduce il volume del respiro contro il suo corpo, materializzato nella creta e nella forma di un vaso, la cui imboccatura è data dal calco dell’interno della sua bocca.

Soffio, 1978

Paolo Pellion © Archivio Penone

Al 1979 risale l’opera Soffio di foglie, dove il volume del respiro e l’impronta del corpo dell’artista sono impressi in un cumulo di foglie.

Nella seconda metà degli anni Settanta vengono pubblicate le riflessioni di Penone sulla pratica della scultura. Jean-Christophe Ammann, nel testo che accompagna la personale del 1977 a Lucerna – riproposto nella raccolta degli scritti dell’artista apparsa nello stesso anno (Rovesciare gli occhi, Torino, Einaudi) –, identifica nelle opere una "attitudine plastica nella sua caratteristica essenziale". Georges Didi-Huberman, nel 1997, scriverà di una "scultura che trasforma gli oggetti in azioni sottili".

Penone considera la scultura sempre in relazione al dato naturale e nei termini di un’azione che asseconda o, in ogni caso, si intreccia al comportamento dei materiali scelti.

Patate, 1977

© Archivio Penone

Patate è un lavoro del 1977 esposto per la prima volta nella personale alla Staatliche Kunsthalle di Baden-Baden nel 1978, l’artista ha fuso in bronzo alcuni tuberi cresciuti nel terreno a contatto con le forme al negativo di un volto umano.

Essere fiume, l’opera che dà il titolo alla mostra alla Galerie Konrad Fischer di Düsseldorf nel 1981, è realizzata sbozzando una pietra, ripetendo l’azione del fiume.

Nel 1982 Penone fonde in bronzo Soffio di foglie rendendo duraturo il lavoro effimero realizzato con gli elementi vegetali. L’artista impiega il bronzo sempre in relazione all’idea del vegetale. Adottando la tecnica della fusione a cera persa, come sempre accade nel suo lavoro, indaga la logica del materiale e lo lavora assecondando le possibilità espressive a esso connaturate. La cera è un materiale tra i più duttili, si modella sulle impronte di altri corpi e nella forma conserva la memoria del contatto: "Secondo Socrate", scrive l’artista in un testo del 1989, "nella nostra anima esiste un blocco di cera che è la memoria, dono delle muse". L’affinità tra il bronzo e il vegetale, per l’artista, è cromatica – la superficie del metallo se sottoposta agli agenti atmosferici si ossida e assume una colorazione simile a quella arborea – ma risiede anche nel modo in cui il metallo permette di fossilizzare il contatto, compiendo in maniera più rapida l’azione lenta esercitata dagli alberi.

Soffio di foglie, 1982

© Archivio Penone

Nei Gesti vegetali, le sculture di bronzo realizzate a partire dal 1982 ed esposte inizialmente nelle gallerie Konrad Fischer di Zurigo e Stein di Torino, al Fort Worth Museum e al Museum of Contemporary Art di Chicago, Penone "fossilizza" le tracce delle sue mani in forme approssimativamente antropomorfe che intreccia alla crescita di vegetali, come appare nel Merian Park di Basilea nel 1984 o da Marian Goodman a New York nel 1985.

Sono di bronzo gli alberi collocati in alcuni spazi pubblici, come il Pozzo di Münster realizzato per l’edizione di "Skulpture-project" del 1987, lungo il cui tronco l’impronta di una mano ha creato una biforcazione da cui sgorga l’acqua, o l’Albero delle vocali nei giardini delle Tuileries a Parigi, ove è collocato dal 2000.

L’unghia, come i capelli e i peli, è un’estensione del corpo, è quella parte con la quale si indaga o si attacca la materia, ma è anche quella dove, avvenuto il contatto, la materia si sedimenta. A partire dal 1987, Penone realizza grandi sculture di vetro in forma di unghia e le colloca a contatto con materiali diversi, cumuli di foglie, alberi del bosco, tronchi, blocchi di marmo. A loro è interamente dedicata la mostra al Musée Rodin di Parigi nel 1988.

Nel lavoro di Penone, soprattutto in quello delle ultime decadi, è privilegiata la forma di conoscenza fondata sull’analogia. Un tipo di esperienza che il pensiero occidentale considera prelogica e che l’autore riattualizza e legittima attraverso la facoltà dell’immaginazione.

In altri termini, se le capacità visionarie di Penone lo avevano messo in condizione di svelare l’originaria forma dell’albero o di configurare un contatto, ora lo portano a lavorare e ad associare materie diverse esaltandone le affinità. Alla base dei suoi disegni e delle sue sculture, infatti, permane la convinzione della comune natura dell’esistente.

Nei grandi disegni intitolati Foglie, le tracce che una materia morbida come il cervello lascia sulla scatola cranica sono trasposte nelle immagini di foglie. Nelle Anatomie, esposte per la prima volta al Réfectoire de l’Abbaye de Tournus nel 1992, l’artista ha scavato superfici di marmo di Carrara, materiale prediletto nella statuaria, facendone risaltare le venature, così simili ai canali attraverso i quali fluisce il sangue negli esseri viventi.

Nelle sculture Trappole di luce (dal 1993) il tronco è tradotto nel cristallo, la materia capace di catturare la luce che è fonte primaria della crescita dell’albero.

Nell’Albero delle vertebre, pubblicato nel catalogo della mostra itinerante nei musei di Nîmes, Triburg e Trento, tra il 1997 e il 1998, un tronco di cristallo si erge dalle forme in gesso ottenute ingrandendo i calchi di un cranio umano.

Nel ciclo di opere Propagazioni (dal 1994), le linee concentriche derivate dall’impronta di un dito si dilatano in un sistema di onde.

Respirare l’ombra, 2008

Courtesy Geijutsu Shincho

In Respirare l’ombra, l’ambiente rivestito di foglie d’alloro mostrato inizialmente al Centro Galego de Arte Contemporánea a Santiago de Compostela nel 1999 e al Palais des Papes di Avignone nel 2000, compare un polmone i cui lobi sono modellati da foglie di alloro fuse in bronzo e dorate.

Nelle sculture in bronzo intitolate Pelle di foglie, realizzate dal 1999, le foglie paiono le terminazioni di un sistema nervoso o venoso la cui suggestione è data da una fitta trama di tronchi.

Nelle opere Pelle di marmo e spine d’acacia, a cui Penone lavora dal 2000 e che espone a partire dal 2001 al Musée d’Orsay di Parigi e alla Fujikawa Gallery di Osaka, il marmo è ammorbidito dai rilievi delle venature, il cui disegno prosegue nei tracciati delle spine d’acacia. In altre opere le spine d’acacia sono disposte seguendo l’impronta ingrandita della pelle, che trasformano in un paesaggio e della quale evocano, con le loro punte acuminate, il sistema di terminazioni nervose.

Pelle di marmo e spine d’acacia, 2001

© Courtesy Fukuoka Art Museum

Liberamente interpretate sono le tracce ingrandite della pelle trascritte nei disegni intitolati Pelle di grafite, realizzati a partire dal 2002.

Nell’opera intitolata Pelle di cedro, del 2002, esposta per la prima volta al Centre Pompidou di Parigi nel 2004, l’impronta della corteccia di un albero è impressa su pelli bovine. Le asperità della corteccia trasferite nelle pelli ricordano la somiglianza tra il sistema venoso, nervoso, linfatico. Nel 2007, nel padiglione italiano della Biennale di Venezia, la medesima trama corre lungo le pelli dispiegate sulle pareti nell’opera Corteccia di cuoio e segna Pelle di marmo - cervello, il pavimento di marmo con le venature portate a rilievo che disegnano, approssimativamente, la sagoma di un cervello. In Scultura di linfa, che dà anche il titolo all’insieme inseparabile delle tre opere, la linfa evocata tutt’intorno si materializza in uno scavo (il negativo dell’albero) praticato nelle due metà di una trave.

Nella serie di opere intitolate Scrigno – uno dei primi esemplari è quello esposto al Museo d’Arte Moderna di Bologna (MAMbo) del 2008 e al Toyota Municipal Museum of Art nel 2009 –, Penone apre una parentesi nell’analogia tra il mondo vegetale e il mondo animale: al centro della superficie di cuoio venato sospende un albero di bronzo diviso in due metà, che, grazie a un sistema di cerniere, cela e svela al suo interno la resina rosso sangue. Rossa è anche la resina che solca lo scavo di un albero in Matrice di linfa del 2008, un lavoro esposto all’École nationale supérieure des Beaux-Arts (ENSBA) di Parigi nel 2009 e al Musée des Arts Contemporains (MAC) Site du Grand-Hornu nel 2011, nel quale il principio di analogia è orchestrato con l’apporto di materiali diversi: bronzo, legno, ceramica, pelle.

Matrice di linfa, 2008

© Sebastiano Pellion di Persano

L’impronta della corteccia dell’albero sulla pelle è fusa in bronzo in Lo spazio della scultura, l’opera presentata inizialmente allo Studio per l’Arte Contemporanea Tucci Russo a Torre Pellice (Torino), al Museum Kurhaus di Kleve e a Villa Medici a Roma tra il 2006 e il 2008.

In limine, l’albero di bronzo realizzato come una sorta di grande portale per la Galleria Civica d’Arte Moderna (GAM) di Torino nel 2011, le ramificazioni delle radici si congiungono e idealmente proseguono in quelle scavate nel blocco di marmo che funge da base, mentre i rami di metallo lambiscono quelli di una pianta di tiglio.

"La struttura dei fluidi", per Penone, "è analoga in ogni elemento. Un corso d’acqua, un albero nella sua crescita e un sentiero hanno forme simili".

Nel 2002, per l’area dell’ex passante ferroviario a Torino, realizza un sentiero che in pianta ha la forma di un albero e lo affida alla crescita della vegetazione. Nel 2007, invitato da Ida Gianelli, porta a compimento il Giardino delle Sculture fluide nel parco della Reggia di Venaria, in Piemonte.
In questa sorta di percorso ideale sul suo lavoro, in dialogo con la natura disegnata del giardino, appaiono le opere Tra scorza e scorza, la grande fontana Disegno d’acqua, Anatomia, Pelle di marmo, Chiaroscuro, Cervello di pietre, Biforcazione, Direzione verso la luce, Direzione verso il centro della terra, Idee di pietra.

Idee di pietra, 2003

© Archivio Penone

Nel ciclo di sculture intitolate Idee di pietra, la più recente delle quali è presentata nell’ottobre 2011 a Kassel come anticipazione di Documenta 13, il dialogo tra spazio mentale e spazio fisico, tra pensiero e materia, già esplicito in altre opere di Penone e di fatto presente in tutto il suo lavoro, si declina in una nuova forma, nella quale, nelle parole dell’artista, "l’idea che appare all’improvviso o dopo una lunga riflessione nello spazio senza forza di gravità della mente [...] è una pietra di fiume che appare tra i rami di un albero".

[Tratto da Daniela Lancioni, Percorso artistico, in Giuseppe Penone, a cura di Laurent Busine, Mercatorfonds, Brussels 2012, pp. 392–394]

Idee di pietra - Olmo, 2008

© Sebastiano Pellion di Persano